lunedì 15 maggio 2017

COME SBAGLIARE OBIETTIVO 
E FARE POLEMICHE PRETESTUOSE

Buffo che siano proprio quelli che rimpiangono una scuola dove si insegnavano per bene materie come la storia a dimenticare che ogni pensiero, ogni testo e ogni personaggio vadano inquadrati nel periodo in cui sono nati. E’ accaduto a Lorenzo Tomasin, illustre filologo che, sul Domenicale del Sole del 26/2, ha spiegato come il disastro della scuola odierna sia figlio di don Milani e della Lettera a una professoressa.  Don Milani e la Lettera avrebbero avuto l’effetto di abolire la storia antica, i classici, il diritto di bocciare. E, cosa ancor più grave, avrebbero esposto al pubblico ludibrio, con manifesto odio di classe, la professoressa, dipinta come privilegiata, fintamente progressista, strapagata e dedita a lussuose vacanze.
La settimana dopo Carlo Ossola  e Franco Lorenzoni gli hanno risposto dalle pagine dello stesso giornale. Non ci sarebbe altro da aggiungere alle loro intelligenti, pacate e acute note. Quel che è curioso è che Tomasin si è affrettato a replicare, in un riquadro, insistendo a vedere nel tono della Lettera “un’allarmante continuità nella pervicace tendenza italiana a fare del risentimento e del rancore la base d’ogni rivendicazione”. Insomma, secondo Tomasin anche oggi ci si scaglia contro le professoresse con feroce odio di classe. Ma dove? Nelle sonnacchiose assemblee delle rituali occupazioni scolastiche? Forse ha pensato alla faccia di Landini in un talk show; ma non mi risulta che Landini si occupi di scuola, e il rituale delle trasmissioni di dibattito politico mi paiono tutto fuorché grondanti sentimenti di classe.
C’è qualcosa che non va. Se ci riferiamo alla scuola, alla società, agli equilibri economici di oggi, anch’io, come molti altri, sto dalla parte delle professoresse; almeno di quelle che il loro lavoro lo fanno con dedizione ed entusiasmo. Ma alla metà degli anni Sessanta, le cose erano molto diverse. Tomasin lo sa che bocciare un ragazzo che veniva da una famiglia di analfabeti, e doveva lavorare nei campi prima di andare a scuola, voleva dire impedirgli di diventare un cittadino a pieno diritto? E lo sa che nel ’67 solo il 3% dei ragazzi che frequentava il liceo poteva iscriversi all’università? Si direbbe di no, e la sua giovane età lo spiega. Ma non excusat. Non si fanno polemiche giornalistiche, non si aprono facili revisioni del passato senza inquadrarle storicamente.
Sembra che Tomasin non ricordi nemmeno che da qualche anno a questa parte, ministra Moratti juvante, si è voluto dare alla scuola lo statuto dell’impresa. Che questo ha imposto agli istituti scolastici di cercare gli allievi - pardon, gli utenti - promettendo facili promozioni e uno studio poco faticoso. Che sono gli studenti e i loro famigliari che ricorrono al Tar a ogni bocciatura e che i dirigenti scolastici questi incidenti cercano di evitarli come possono. Se questa è la scuola di oggi sarà anche in minima parte colpa del ’68 e di don Milani; ma è soprattutto colpa del lassismo che ha dominato la scena culturale italiana dagli anni ’80 in poi; dalla decadenza del valore della conoscenza e della formazione morale dei cittadini. Questo don Milani non l’avrebbe mai voluto.
Consiglierei invece a Tomasin la lettura di un interessante libro, Scuola di classe, di Roberto Contessi, Laterza, dove si dimostra con cifre inoppugnabili che, non certo per colpa di don Milani, la scuola di oggi è classista quanto quella degli anni ’60. Solo che nessuno, e in primis gli studenti, si sogna di contestarlo. Perché una scuola che promuova facilmente va bene a tutti, anche se in questo modo lascia inalterati i vantaggi di chi viene da ceti privilegiati, o è più dotato per natura. Una scuola seria dovrebbe farsi carico proprio di chi è meno dotato allo studio, indipendentemente dai motivi; anzi, dovrebbe essere lo strumento di crescita e di sviluppo intellettuale soprattutto per chi non proviene da famiglie di buona cultura. Come sosteneva la Lettera, e come non è successo. 
Se oggi possiamo dire che il progetto di Barbiana è superato, arcaico, ribellista, è perché don Milani, e chi l’ha ascoltato, ha rimosso alcuni degli ostacoli che impediscono la crescita civile del Paese.   Paradossalmente, io credo che sia merito della Lettera se oggi possiamo indignarci perché la scuola non funziona. Il problema, casomai, è che non ci indigniamo abbastanza; che le proteste degli insegnanti sembrano corporative, che gli studenti non contestano una scuola che non li aiuta a conquistare un’autentica maturità intellettuale.

Sarebbe stato meglio se le scuole avessero mantenuto la capacità di premiare i migliori, di stimolare i meno dotati, e non fossero diventate aziendine. Ma nessuno può rimpiangere la scuola che bocciava i ragazzi di Barbiana perché non erano all’altezza di programmi difesi da professoresse un po’ distratte.  

                                                                     (Da "l'Immaginazione", n. 299, 5-6/2017)

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