lunedì 15 maggio 2017

IL ClASSICO E' UTILISSIMO
PERCHE' NON SERVE A NIENTE

Venerdì 13 gennaio, nell’indifferenza generale, 388 istituti italiani hanno celebrato la terza edizione della Notte nazionale del liceo classico. Per quel che ho potuto vedere, ne hanno parlato pochi articoli sui quotidiani e un isolato servizio, senza immagini, del Tg2. Eppure la Notte è un evento importante, perché negli ultimi anni  il classico ha conosciuto una grave crisi di iscrizioni, e da tempo si parla di riformarlo, se non di chiuderlo; ma anche perché è l’occasione in cui i licei mettono in scena rappresentazioni, mostre, concerti, si aprono alla cittadinanza, e studenti e docenti sono disponibili a dialogare con i cittadini per spiegare cosa succede dentro i loro istituti.
I problemi che incontra la sopravvivenza del classico sono legati alla presenza significativa, nei programmi, del latino e del greco, e lo scarso peso delle discipline scientifiche. Ma è forte anche la diffidenza per una scuola che – si dice - rappresenta un relitto del passato perché non prepara al lavoro, ha un connotato di classe, non è orientata alle nuove tecnologie e alla sfida della comunicazione digitale. Insomma, un’istituzione del giurassico, frequentata da dinosauri, un mondo in via di estinzione.
Personalmente, ho avuto occasione di assistere alle iniziative mese in atto per la Notte dal liceo ”Vitruvio Pollione”, di Formia. Si è trattato di tredici laboratori, organizzati e ideati dagli studenti, sia pure con il sostegno dei professori. Una serie di rappresentazioni, scenette, tableaux vivants, discussioni, danze e musica di qualità e originalità coinvolgenti, per non dire commoventi.  Solo per citarne alcuni, ho assistito a una messa in scena, in forma ridotta, del Mercante di Venezia, recitato in un ottimo inglese, con una particolare attenzione al personaggio di Shylock; a una zattera della Medusa con i naufraghi di oggi; ho assistito all’abiura di Galileo davanti a due cardinali inquisitori; ho visto Saffo rivendicare il suo modo di intendere l’amore;  ho assistito a una ricostruzione del mito della caverna, con gli attori incatenati che vedevano passare le ombre sulla parete di fronte e un giovanissimo regista che spiegava il senso e l’attualità del testo platonico, con particolare riferimento alla comunicazione di massa; ho visto una serie di ricostruzioni sceniche delle opere di Leonardo (dama con ermellino di peluche), Caravaggio (il bacchino: perfetto!), Dégas (la ballerina che si allaccia le scarpette, delizioso) e così via, con la logica delle opere che hanno segnato un punto di rottura nella storia dell’arte; ho visto Kant dialogare con Cacciari sul problema dello straniero; ho sentito Dante lamentare la condizione dell’esule; ho visto una serie di esperimenti di fisica che mettevano in luce come quasi sempre le apparenze dei fenomeni siano ingannevoli; e via dicendo, in un entusiasmante alternarsi di laboratori, distribuiti in tante classi della scuola, affollate di genitori e cittadini che facevano la fila per assistere alle rappresentazioni.
La Notte di Formia non è certo sufficiente a tacitare i comprensibili dubbi di tanti sull’utilità della sopravvivenza del liceo classico; né a superare i problemi che tutta la scuola, e non solo il classico, deve affrontare da anni. Ma quello che ho visto io, e che molti avrebbero potuto vedere, se i media si fossero interessati alla Notte, era la dimostrazione della vitalità e della utilità del classico.
Perché l’insieme delle attività dei laboratori  del liceo di Formia rappresentavano uno straordinario esempio di come, attingendo alla letteratura antica e moderna, ai miti della classicità, alla storia dell’arte e alle più attuali teorie della fisica, ripercorrendo la storia del pensiero e quella dei conflitti sociali sia possibile affrontare con capacità analitica la complessità del presente.
Io credo che ogni paese abbia bisogno di una classe dirigente degna di questo nome. Forse il classico è ancora una scuola di élite, forse è vero che presenta difficoltà che non tutti possono affrontare, ed è certamente vero che non prepara a un mestiere, non dà competenze specialistiche, non è concentrato sulle nuove tecnologie. Ma, rispetto a una volta, dedica più attenzione alle discipline scientifiche, alle lingue moderne, alla sperimentazione e a una certa elasticità dei programmi. Non forma a una professione, ma stimola le capacità di apprendimento, di analisi e di visione critica che sono, quelle sì, le basi fondamentali per qualsiasi ruolo sociale che preveda consapevolezza e creatività. Senza il classico, io credo, le prossime generazioni perderebbero la possibilità di formare una classe dirigente capace della spinta alla sfida della conoscenza e alla curiosità necessaria ad essere protagonisti di un futuro difficile e complicato come quello che abbiamo davanti.  


                                                    (Da "l'Immaginazione, n. 298, 3-4/2017)

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